Remo Brindisi

1981

Alcune linee di tendenza che si sono manifestate negli ultimi decenni di ricerca artistica, hanno polarizzato negli artisti, con evidenti fervori di vita e di esame di coscienza, specie se ci soffermiamo su due soli periodi, quello informale e quello concettuale, nuovi modi di comportamento nell'udire e nel vedere. Il prismatico aspetto della nostra società occidentale, in continuo agitarsi per la conquista di nuovi spazi di sopravvivenza, ne pone la dinamica e la teoria epocale.

L'irosa storia dei dibattiti che ne è conseguito non è stato altro che l'immagine più appariscente, sì di quanto si è detto, ma ne è scaturito soprattutto quel susseguirsi di transumanze di estetismi e di orientamenti tra un continente e l'altro, determinando un quadro abbastanza fluido perché le libertà espressive potessero avere una agitazione interiore più aperta, pluralistica e contrattuale ai fini di una gestione di base più favorevole. In definitiva, e lo dico per inciso, tutto questo ha provocato e ha affermato un'arte totalizzante, appunto in sintonia con il verbo estetico del momento.

Una conseguente editoria d'informazione socio-culturale resa capillare nella diffusione e direi spasmodica come di riflesso avviene tuttora ad ogni modello educativo e sociologico, pone sempre di più l'esigenza del dilatarsi di questa disciplina senza che nessun campo operativo rimanga scoperto e inviolato. Un politologo, uno storico o un qualsiasi studioso devono, oggi, fare i conti con questa cultura prevalente, perché la didattica scientifica e l'espletamento di ogni funzione, sia privata che pubblica, abbiano quel contrappeso di potere persuasivo e dilatante da prevaricare ogni previsione di sviluppo organico della società o che almeno riuscisse a contenersi fino al limite della professionalità. Alla resa degli ismi, divenuti nel frattempo "manierismo", benché più delle volte liberatorio dai post-novecentisti (cubismo e astrattismo), cioè dalle forme cartesiane-illustrative e decorative, alcuni artisti, come Raul Batocco, avvalendosi di esperienze specifiche proprio laddove la tecnica, più che la cultura moderna, aveva posto domande d'impegno e di escavazione interiore ed anche per effetto di rigorose militanze all'idea "ARTE", ha potuto, qui è il caso di Batocco, serrare quel lirismo che pure era rimasto l'ultimo baluardo di sopravvivenza alla generazione degli Estev e dei Manessier.

Non è per caso che Batocco, sin da quegli anni,non ha perseguito idee che potessero avere una confluenza, sia pure ideale, con il realismo considerato, proprio in quegli anni, una ipoteca qualificante che poi, in seconda verifica, non risultò. Penso che per Batocco sia stato il momento più autorevole, contenutistico e ispirativo che si potesse avverare nell'ambito della ricerca. Appunto il valore sta in quelle allusioni di accensioni cromatiche, pervase di quei sensibili giuochi e di sottintesi reali, che colpiscono la realtà, per darsi la consapevolezza storica ed umana di cui tutta la cultura moderna è ricca nelle sue svariate applicazioni tecnologico-sociale.

E' stato ed è un modo naturale di essere uomo, che non disdegna una eredità di figlio dell'arte, tanto più che Batocco, nel suo soggettivismo, considera la ricerca artistica sempre su di un piano atipico e segreto nello stesso tempo. Dico questo perché in Batocco, com'è evidente, la tradizione in arte gli proviene dal NOVECENTO i cui antefatti fondamentali d'impostazione e di svolgimento, ad esempio la decentrazione dell'oggetto come tipico segno di modernità, non a caso genera, ed egli lo sa, la continuità nell'"opera". Non è poco quando si pensi che nel nostro paese si continua a ritardare lo smaltimento del tradizionalismo fine ottocento che lo si vorrebbe, invece, confluente con le più azzardate ricerche quanto invece la loro storica rottura ebbe inizio con l'avvento del futurismo prima e col novecentismo poi. In Batocco, per queste ragioni, nulla degenera, tutto e sempre rientra nella logica della genesi moderna. Batocco è un attento e sensibile formalista nel recepire e nel tradurre e ciò facendo trova, con evidente efficacia, quello scatto rivendicativo, tipico dell'artista, per assicurarsi un'autonomia ispirativa di elevato impegno.

Macerata 16 giugno 1981

Gilberto Cerioni

1976
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Dei contenuti dell'arte di Raul Batocco si è già dissertato su queste pagine anni addietro. Quella di oggi non vuole essere una narcisistica riproposta, né un chiarimento superfluo, bensì un riconoscimento evolutivo.

Quest'artista che non parte dalla poesia, ma le conquista; questo artista forte del suo continuo realizzarzi: quest'uomo che mostra senza riprodurre; quest'uomo che, per dirla come Goethe, crede che "una qualche legge ignota nell'oggetto corrisponda ad una ignota legge nel soggetto", richiede di essere continuamente approfondito.

"Anche nell'arte vi è spazi abbastanza per l'indagine esatta, ma l'intuizione non è sostituibile..." scriveva Paul Klee. E ancora: "L'arte gioca con le cose supreme un giuoco inconsapevole e tuttavia le raggiunge...". "...Basta un soffio per far si che l'espressione della religiosità si trasformi in atto". I quadri di Batocco sono opere che pongono senza mezzi termini un messaggio interamente affidato a palpitanti emozioni che balenano lontani misteri: opere di un artista che partecipa con discrezione ad eventi che fa poi rivivere con rapida luminosità.

Tralasciando il già illustrato e sempre valido modulo dei "contenuti", balza evidente come il suo impeto creativo si serva di pretesti che poi sistematicamente annulla, trascende e concepisce in una dimensione prettamente artistica. Uno dei suoi grandi meriti è l'aver compreso che l'arte è un tormento che non si accontenta della semplicità e della misura di una realtà oggettiva; che l'arte è un dare e un chiedere consolazione. Notiamo in lui un impeto gestuale, scatti cromatici, un'istintività non repressa dalla pur valida tecnica, un dono di captare, senza travisarla, l'essenza del naturale, un'ardita e pur limpida stesura di armonie, una sviluppata e pur essenziale logica architettonica, una graffiante, rifinita e plastica chiarezza di segno, un fermo e puntuale rifiuto di ogni compromesso naturalistico. Usando molti dei mezzi a disposizione dell'odierna tecnica grafica, intervenendo con intelligenti pulsazioni e dilatazioni cromatiche, evitando accuratamente le facili, scontate ed usuali suggestioni, egli ci parla di un avvenire pulito, di liriche e significanti atmosfere, di dimenticati attimi, di fantasiosi racconti, di strani moti interiori che credevamo dimenticati. La magica carica del suo fare arte ci suscita vibranti emozioni estetiche; la mobilità del suo astrattismo di base ci riporta ad una lontana dimensione la quale riscatta quei valori che apparentemente muta e ce li ripropone con la suggestione di una riscoperta.

L'intimo segreto delle sue opere è quella luminosa sensibilità nascosta che da alienanti atmosfere crea imprevedibili spazi da cui la verità, intesa in tutti i sensi, esce vincitrice del materialismo, bella, e a tu per tu con l'assoluto. "... Forse s'avess'io l'ale da volar su le nubi, o come tuono errar di giogo in giogo, più felice sarei dolce mia greggia, più felice sarei candida luna..." Ecco che cosa vediamo noi oggi in Batocco: un leopardiano pastore errante dell'Asia. Ma realizzato.

Ancona e Provincia n.6-7 1976

Loretta Fabrizi

1996
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Raul Batocco è nato a Filottrano nel 1934. In Osimo compie i primi studi; si diploma alla Scuola d’Arte di Macerata e nel 1956 è a Roma dove si ferma fino al 1960. Assieme a lui, per qualche tempo, ci sono Valeriano Trubbiani e Giorgio Cegna.
Dal 1962 risiede a Cupramontana. Dal 1974 insegna Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata.
Di temperamento schivo, ritroso come pochi e poco incline a farsi avanti, Batocco ha vissuto una vicenda artistica a margine, spesso al di fuori, dei luoghi deputati e delle manifestazioni ufficiali dell’arte. Ha lavorato per lungo tempo, e tuttora, in solitudine appagandosi di una ricerca meticolosa che ha affinato il mestiere e gli strumenti espressivi perfettamente in grado di esprimere e rivelare la verità poetica della realtà, che costituisce il motivo dominante di tutta la sua pittura.
In occasione della mostra personale (poche, ma di qualità e fortunate) a Filottrano nel 1985, l’amico ed estimatore Valeriano Trubbiani, invitato a scrivere un testo di presentazione, in un “pezzullo”, come egli stesso lo chiama, molto incisivo e corrosivo, ebbe a scrivere: “[...] anche nella nostra Marchetta mi pare che a Raul Batocco qualcheduno lo vuol proprio tenere nascosto se è vero come è vero, che sistematicamente e reiteratamente viene escluso da tutto quel fervore realizzativo che, pari ad un ‘delirium tremens’, si esprime in una raffica allucinante di mostre, mostricine, mostracce e mostre di mostri [...] una sorta di ‘marcialonga’ tra il fosso del Tronto e la discarica di Monte Cucco [...]”. Per Trubbiani, insomma, Batocco è stato dimenticato e sui motivi di questa rimozione: “è un personaggio generoso, mite e civile e queste sono colpe che di questi tempi prima o poi si scontano. Batocco è riservato e defilato eppoi, il che non guasta come capo d’accusa è un vero pittore e un vero artista”.

Nello studio cuprense Batocco conserva praticamente tutta la sua produzione a partire da alcune tele che sono datate primi anni Cinquanta: tanti, tantissimi pezzi di piccola e media dimensione (ma gli ultimi su cui sta lavorando sono molto grandi) meticolosamente conservati nell’apparente confusione e disordine, tutti incorniciati; e più di duemila disegni (“questi sono soltanto una parte -dice- ne ho fatti molti di più; fondamentalmente io sono un disegnatore”) raccolti in cartelle colorate che lancia sopra un tavolo come se non gliene importasse niente, sparpagliando i fogli ma di ciascuno dei quali  ricorda perfettamente l’origine, l’occasione, il motivo dell’ispirazione. In alcuni fascicoli ha scrupolosamente raccolto e conservato, nel corso degli anni, gran parte della documentazione che lo riguarda; grazie a questo materiale è stato possibile ricostruire l’iter espositivo di Raul Batocco che si presta anche a delinearne una precisa fisionomia.
Gli anni 60 sono anni di intensissima attività espositiva, soprattutto premi e concorsi di pittura estemporanea ai quali Batocco ha partecipato con grande assiduità per motivi diversi, piazzandosi sempre in ottima posizione: si trattava di una buona palestra dove era possibile il confronto con altri operatori in una realtà provinciale che non offriva granché di meglio; un buon trampolino di lancio per farsi conoscere da critici affermati e di valore che spesso venivano chiamati a presenziare nelle giurie; era la possibilità di dimostrare come con l’arte si potesse campare; in certi anni, inoltre, queste manifestazioni sono state tra le poche occasioni, se non l’unica, per un pubblico molto più vasto di quello che frequenta generalmente i musei e le gallerie di avere un rapporto diretto con l’arte e con gli sperimentalismi d’avanguardia. Alcuni di questi premi costruirono una lunga ed onesta tradizione com’è il caso del Premio Rosora, della Fiera Marguttiana di Macerata, del Premio Bucci di Fossombrone, del Premio di Visso, del concorso “Riviera del Conero” di Ancona, per citare alcuni fra i più noti.
Vanno in ogni caso segnalate alcune presenze qualificanti di Batocco come la partecipazione alle varie edizioni del Premio “G.B. Salvi” di Sassoferrato, all’edizione del Premio Marche del ‘58 e a quella completamente rinnovata del ‘66-’77, le mostre personali alla Galleria Puccini di Ancona nel ‘62, ‘65, ‘66 e quella alla Galleria Scipione di Macerata, sempre nel ‘66.
Gli anni 70 sono anni di “clandestinità”. In parte è dimenticato, come dice Trubbiani, in parte  si tira indietro nascondendosi ad una realtà artistica in cui non si riconosce più. “Per me -dice- si è chiuso tutto prima dell’Informale; pop, concettualismo non sono per me”. E lo dice con rammarico, come di chi non è stato compreso, come se la sua pittura e con lui tutti quelli che continuavano a fare pittura, a dipingere tele, a fare sculture in senso tradizionale fossero dei ritardatari. Rare presenze pubbliche, una di particolare pregio: la partecipazione a “Arte-Agugliano ‘75”.
Lo ritroviamo negli anni 80 con due mostre personali ricche di soddisfazione e successo: quella del 1982 alla Galleria del Falconiere ad Ancona e quella filottranese del 1985 che costituisce il ritorno alla grande nella sua città natale.
Nel clima generale di ritorno alla pittura Raul Batocco si trova perfettamente a suo agio; il suo grande mestiere, gli strumenti linguistici affinati nel corso di un esercizio disciplinato e metodico, mai esausto di fronte alla realtà, in una continua interrogazione dalla quale soltanto è possibile estrarre la poesia e la magia delle cose, ne fanno un vero maestro. Testimoni ne sono le ultime grandi tele cui sta attendendo dove vive un colore intenso, da perdercisi dentro, di fortissime risonanze interiori.

Quando Raul Batocco arriva a Roma, nel 1956, siamo in pieno clima informale e alcuni grandi artisti come Fontana e Burri, stavano lanciando con le loro opere certe radicali indicazione che avrebbero portato nel volgere di breve tempo ad una crisi del linguaggio artistico tradizionale; l’abbandono delle tecniche, dei materiali e dei procedimenti codificati stava producendo un nuovo oggetto artistico, non necessariamente dipinto o scolpito. Tutto questo avveniva però lungo un fronte d’avanguardia e non ha impedito che si continuasse a lavorare in modo tradizionale: al rispetto delle tecniche e dei sistemi linguistici specifici della pittura e della scultura corrispondeva l’irrinunciabile confronto con la realtà visibile come punto di partenza e riferimento necessario per giustificare la ragione stessa del fare arte, rinunciando con ciò alle posizioni estreme cui erano pervenute alcune avanguardie della prima metà del secolo.
Come è noto, la ripresa delle ricerche dopo la guerra  aveva trovato il punto di riferimento più importante nel personalissimo cubismo di Picasso la cui orditura geometrica si fondeva al colore matissiano, ai densi e vaporosi pigmenti di Bonnard, alle favolose galassie kandiskiane e ai prismi cosmici di Delaunay come ai linearismi mironiani; e l’immagine scaturiva da quelle segrete e magiche corrispondenze tra realtà ed astrazione così come le opere di Klee suggerivano. Premonitore e maestro Jacques Villon con le sue cristalline strutture di volumi filtrati in trasparenze cromatiche. Lungo questo versante si muovono i pittori della cosiddetta “Tradition Française” (Bazaine, Manessier, Estève, Gischia, Pignon, Singier ecc.) cui fa riferimento Lionello Venturi per l’elaborazione del sua poetica di “astratto-concreto” che costituisce la linea artistica lungo la quale avviene la formazione di Raul Batocco e alla quale egli rimarrà sostanzialmente fedele pur registrando nel tempo cambiamenti di gusto ed evoluzioni stilistiche.
Tra “Fronte Nuovo delle Arti”, “Gruppo degli Otto” e “ultimi naturalisti” di Francesco Arcangeli si mirava ad una forma analogica della realtà fisica e spirituale, ad una trascrizione astratta delle sensazioni e delle emozioni, mai tagliando i ponti con il mondo dei sensi e dei sentimenti. Vale per tutti il pensiero del pittore francese Leon Gischia: “Si tratta di ricreare la realtà, ripensarla attraverso (e a partire da) la struttura formale. Ossia di giungere con i mezzi propri della nostra arte (linea, forma, colore...) all’essenza stessa della realtà, di sostituire insomma al reale imitato un reale immaginato che abbia tutta la verosimiglianza, tutta l’autenticità, tutta l’evidenza di un incontestabile fatto naturale”. Ciò porta inevitabilmente ad una sempre più evidente lontananza dallo spunto reale; la traduzione delle impressioni in puri equivalenti formali, mirando essenzialmente ad esprimere l’emozione, riduce progressivamente lo spazio della sensazione.
La vera formazione di Batocco, tra il ‘56 e il ‘60 a Roma, avviene proprio in seno al dissolvimento delle diverse proposizioni di parafrasi più o meno astratta del reale e l’Informale, come proponevano le esposizioni a catena alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e le numerose gallerie tra Trinità dei Monti e Piazza del Popolo. Di qui le scelte istintuali: Birolli, Afro, Santomaso, le suggestioni ricevute dalla pittura di Piero Sadun, i suggerimenti raccolti da qualche puntata su Torino dove, tra rivisitazione del recente passato futurista, vicende nell’ambito dell’arte concreta e precoci esperienze informali (Spazzapan) si era creato un ambiente stimolante, nutrito di umori francesizzanti che la stessa Galleria Comunale d’Arte Moderna non aveva esitato a promuovere. Le prime esercitazioni formali di Batocco si caratterizzano per questo filone di postcubismo fortemente intriso di umori futuristi, di aereopittura, che evolvendosi approda ad un sempre più marcato distacco verso l’astrazione del segno e del colore in trame armoniche, evocative degli incontri emotivi con la realtà. Una libera trascrizione lirica della natura, dove il cielo, il mare, il paesaggio, la realtà urbana appaiono come presenze segrete, non identificabili, fantasmi delle cose svaporate nella luce e nel colore.
Prismi cubofuturisti, direttrici da “trascendentalismo fisico”, linee-forza, compenetrazioni di forme e trapassi cromatici da “compenetrazioni iridescenti”, sono strumenti espressivi mai abbandonati e riproposti negli anni aggiornati per esempio alla poetica dell’Informale, ma con molta moderazione, nella tensione dinamica del segno o negli svaporamenti cromatici pur nel dichiarato rifiuto delle densità materiche, gli automatismi e le gestualità impulsive; mentre negli anni Sessanta, estraneo ai recuperi iconici dalla realtà urbana, è evidente una disciplina impaginativa di carattere geometrizzante, una griglia razionale che può richiamare certe  atmosfere provenienti  dal contrapposto versante concretista.
“Sullo schermo del dipinto saggiamente ripartito come il progetto di un agrimensore -continua Trubbiani nel già citato testo-  entrano presenze lente come tartarughe o veloci come saette e falci fienare dalla iconicità accennata e inquieta talché l’immagine rappresentata è il fantasma di sé stessa, un ectoplasma galleggiante in attesa di dichiarare apertamente la propria identità [...]. I protagonisti di questa rappresentazione: una farfalla che tenta il volo; un cardellino in equilibrio instabile; una interrotta fienagione lunare; l’officina di un fabbro; cirro-cumuli sul deserto infuocato; angeli che rotolano tra le nuvole; bambini che mangiano un cavallo morto; l’ova di una matura maternità. E poi ancora: proiezioni dall’alto e svoli e lievitazioni e segmenti tesi sparati dal cielo come laser. E vescovi  mummificati sbendati da una furia iconoclasta [...] E’ l’interpretazione dell’artista per l’artista  al di fuori dell’ortodossia, atipica e istintuale poiché altro è il mio mestiere, più tenaci sono i miei materiali, diverse sono le allucinazioni”.
E Stefano Trojani:  “La bellezza dei suoi colli paesani, le linee composte dei vigneti, il volo libero degli uccelli nei cieli azzurri delle campagne cuprensi, il ritmo dinamico delle stagioni ricorrenti, i mulinelli dei venti che si ammantano di pampini nelle tortuose strade collinari, i paesi arroccati sulle alture a vigilare il continuo tranquillo lavoro dei contadini tra il verde delle viti, gli specchi d’acqua che riflettono l’ondulazione dei canneti e le costole stupende di terre generose di frutti hanno dato a Batocco, cosi come  all’altro cuprense che del paesaggio, e del paesaggio marchigiano ha fatto soggetto d’elezione, Luigi Bartolini, con una trasmissione naturalissima, una inclinazione a ripiegare la sua osservazione su questo limpido e ininterrotto affacciarsi di forme nuove alla luce della esistenza”.

Paesaggio fantastico "Bartolini e Cupramontana"

Loretta Fabrizi

1999
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La formazione di Raul Batocco è avvenuta a Roma nell'ultimo scorcio degli anni 50 lungo quel filone di post cubismo fortemente intriso di dinamica visuale futurista, da aeropittura, che si dissolveva nel diluvio informale.

Queste coordinate di partenza resteranno un punto di riferimento costante nel suo lavoro, con aggiornamenti, aggiustamenti e ritorni, all'interno di un processo di astrazione tenuto costantemente in bilico con la figurazione, allo scopo di estrarre e rivelare quell'essenziale poetico che tuttavia mai si manifesta nella sua assolutezza formale, compiutamente non oggettiva. Il confronto con la realtà, infatti, è il motivo dominante di tutta la sua pittura;una realtà ripensata e ricostruita, liberamente trascritta in una tessitura evocativa di incontri emotivi.

Con misura antica e sapiente,pazientemente, Batocco ripartisce il dipinto come un terreno da coltivare, predispone un assetto paesaggistico regolato, recinta il suo orto, disegna il suo spazi vitale. stirati al massimo, gli elementi figurali si mostrano come segrete presenze dall'iconicità appena accennata, farfalle colte al volo, fantasmi di cose svaporate nella luce e nel colore.

"La bellezza dei suoi colli paesani,-ha icasticamente scritto Stefano Trojani- le linee composte di vigneti, il volo libero degli uccelli nei cieli azzurri delle campagne cuprensi, il ritmo dinamico delle stagioni ricorrenti, i mulinelli dei venti che si ammantano di pampini nelle tortuose strade collinari, i paesi arroccati sulle alture a vigilare il continuo tranquillo lavoro dei contadini tra il verde delle viti, gli specchi d'acqua che riflettono l'ondulazione dei canneti e le costole stupende di terre generose di frutti, hanno dato a Batocco, così come all'altro cuprense che del paesaggio, e del paesaggio marchigiano ha fatto soggetto d'elezione, Luigi Bartolini, con una trasmissione naturalissima, una inclinazione a ripiegare la sua osservazione su questo limpido e ininterrotto affacciarsi di forme nuove alla luce dell'esistenza".

Bartolini, certo e legittimamente, ma altre suggestioni arrivano a Batocco per una via diversa eppure così intimamente analoga:sono i paesaggi immaginari, i voli fantastici, gli incantamenti e le meraviglie di Osvaldo Licini. Dall'eremo di Monte Vidon Corrado, Licini, così Batocco, solitario e schivo, nella sua Cupra Montana, scruta gli interminati spazi, gli infiniti silenzi, le lunari fienagioni in quel viaggio essenziale alla ricerca dell'unico possibile approdo, la poesia.

Associazione Marchigiana Iniziative Artistiche
Accademia Belle Arti Macerata - Galleria d'Arte Puccini, "Segmenti d'autore" 27 Marzo - 10 Aprile 1999

Francesco Ghedini

1982
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Della crisi della realtà - che dura forse da sempre, e precisamente da quando l’uomo si è domandato se i suoi sensi gli restituivano la "verità" delle cose - si sono trovate molteplici risposte e tutte transeunti e dubitose. Ma la domanda capitale ci è stata posta da Kandinsky e la sua risposta è stata a quella degli antichi che nei segni e nel colore ritrovarono una realtà straordinaria da porgere. Era una risposta religiosa e magica e per molti decenni non s’ebbe altro, fino alla conclusione stremata di una verità che si andava notomizzando in indagini da microscopio o da geometra.

Perdendo cioè quel mistero che ne costituisce la sua unità negli oggetti o in quegli incontri di cose che talvolta ci avvertono - e noi non ce ne accorgiamo che non si tratta di un’ammucchiata ma di una straordinaria assemblea di sconosciuti enti a parlarci. E noi - poveri estraniati ad esercitare un’abusiva ricognizione (nient’altro è il modo comune di accorgerci delle cose) sull’apparenza di una manifestazione che dovrebbe sollecitarci a ben diversa misura di penetrazione.

E questo straordinario atteggiamento di indagine oltre l’apparenza è il vero segreto dell’arte di Raul Batocco. A differenza di Kandinsky - che resta l’Ascendente maggiore di tutta la pittura contemporanea, insieme a Klee - egli non si è avulso dal reale se non per quel tanto che lo solleciti ad interpretarlo; ma la forma delle cose - che è segno da leggere - è la sua costante preoccupazione, intesa come un messaggio cui occorre una sensibilità ed una direzione del tutto atipica, perché a ridosso delle cose egli non usa forzature o - meno ancora violenze distruttive.

Se la realtà si apre davanti a lui è per un atto straordinario di attesa, una sorta di agguato amoroso che riesca con il prisma della sua seconda vista a farci avvicinare nella sua più nascosta verità l’intimo delle cose. Questa sua verità prismatica è come la gemma del Mago Merlino che gli apre - senza scomporle, ma solo associandole - le interiori modalità d’essere della realtà. Un piano superiore si mostra ai suoi occhi e reca la misteriosa intimità delle essenze, purificate in dimensioni che sono quasi cristallografiche.

Chi osservi quel suo primo quadro del ‘59 ch’Egli chiama materico astratto si accorge già quale cammino ha imboccato. Difficile, certo e non solo per lui, ma anche per il suo lettore che - abituato o sviato dalle supponenti e saputissime catalogazioni critiche - non si orienta subito sulla appartata e autonoma visione che costituisce l’essenza della sua arte.

Tant’è vero che proprio da quell’esperienza materico astratta, lentamente la materia gli si fa trasparente e i segni assumono il senso di un messaggio interiore che, scoperto nelle cose, si offre quieto solenne e bonario.

Quel che si viene offerto in talune sue opere non è che la riduzione ad hominem di una realtà che altrimenti ci colpirebbe fino a ferirci. Credo che gli Dei che egli certamente intrasente e intravede nelle e oltre le cose gli abbiano concesso di denunciarne le presenze e gli eventi con dolcezza ed umiltà affettuosa.

Si veda quel suo uccellino caduto sulle pietre di un giardino. Un evento - la morte di un piccolo animale - che si trasforma in un fatto dove l’umano dei sentimenti si ricollega alla inesorabile e inspiegata sorte che tocca alle cose tutte vive e non vive. "Solo gli Dei sanno chi per primo ha fatto il male". Ma Batocco risponde con la toccante dolcezza di chi sente che il male è una modalità dialogante e mutabile del bene.

Talvolta i suoi assemblages di cose hanno l’aspetto estraneo e tuttavia esperibile degli altari.

Si veda il quadro in rosso. L’accostamento delle forme ci dice - ma la superano - quali erano gli oggetti riuniti, ed essi con una ostinazione che ha il senso della preghiera sono "venuti" per loro stesso consenso a mostrarsi a noi, figli della bruta e ottusa realtà razionalizzata, nella loro meravigliante essenza a dirci chi sono.

È un’arte difficile questa di Batocco e appartata - le cui coincidenze con le mode tecniche che si sono sperimentate in tanti anni, valgono solo a dirci in quel modo esse avrebbero dovuto servirci a raggiungere l’impossibile limite del numinoso.

In questo egli è vicino a svelarci una straordinaria verità che intuiamo e rifiutiamo perché ci obbligherebbe a mutarci in umanità meno bassamente umana.

La classificazione che più apparentemente sembra addirsi a questa pittura è la congiuntura del surreale con il pitagorismo dei primi astrattisti. In realtà quelle misure sono soltanto indicative e alludenti solo per coloro che hanno bisogno di etichette. Batocco è fuori da esse. E cammina per un sentiero così inusuale che non valgono le classificazioni, ma sgomina per un atto di magica pietas tutte le tecniche che ormai l’immenso marché aux puces dell’arte d’oggi gli offre, per scegliere quelle che in una limpidezza e purità d’essere gli consentono la straordinaria disponibilità del suo animo e della sua intelligenza per evocare e convocare i Regni oltre reali, aldilà del surreale.

Come l’antico fanciullo di Alceo egli si pone davanti alle conchiglie delle cose e ne rimanda il sopramondano suono marino.

Con stupore e delicata umiltà di resa.

E poiché manca alla maggior parte di noi tale umiltà e delicatezza, si rischia di fraintendere il suo incantato discorso. Che è grazia e rivelazione. Come a dire: lo svelare e il rivelare. Tutto insieme. Ovviamente resta, a chi non lo intende, la bellezza e la gratitudine dei suoi misteriosi crittogrammi di colore. Che tuttavia sono come lettere che ci promettono una chiave per leggerle nel loro vero. Da un mondo parallelo e straordinario.

Personale alla Galleria Il Falconiere, Ancona. 18-12-82

I. M. Balestrieri

1962
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Raul Batocco. Giovane pittore marchigiano, è nato nella bella campagna di Filottrano, ventotto anni fa. Iniziò i suoi studi artistici alla scuola d'Arte di Macerata, proseguendoli poi a Perugia e Roma; dove tuttora risiede, alternando il soggiorno romano con lunghe e frequenti permanenze nella terra natale. Esordì nel '55 appena ventenne, partecipando con successo a diverse mostre collettive nazionali.

Con questa personale si presenta per la prima volta al pubblico di Ancona. Raul Batocco è fatto così; scontroso e gentile, silenzioso e ciarliero, allegro e triste; ma tutto vero. Vero come la sua pittura che è misteriosa e funambolica e allo stesso tempo spavalda e austera, tenuta com'è da certi colori che paiono addirittura inventati.

In fondo, la genuinità di R. B. è tutta dentro la sua pittura: una pittura che sta ai confini dell'informale e che con l'informale non ha nulla a che vedere; che è calligrafica e no; che arriva ai disfacimenti del sogno, ma si articola dentro i limiti di una coscienza che pretende di essere rigorosa; che si vitalizza nello spazio creandovi un continuo mutamento di forme.

Esiste indubbiamente nell'impegno del giovane pittore marchigiano una radice figurativa. Ma questa memoria si trasforma in nuove modulazioni formali. Nelle opere della sua recente produzione, appaiono evidenti le intenzioni di stabilire un rapporto tra realtà e fantasia. La verità di un gesto, di una cadenza umana, è il risultato di una interiore spinta poetica che tende a trascendere il dato naturalistico. Infine, poiché R. B. è alieno da una stanca figuratività e nello stesso tempo, è attento a ridurre la sua evidente temperatura espressionistica ad una più misurata semplificazione, le ragioni della sua pittura si precisano essenzialmente nei valori cromatici dove la forma si muove come pretesto e giustificazione figurale; risolvendo a tutto vantaggio del linguaggio pittorico il suo modo di "figurare" inteso per evocazioni e astrazioni ideali.

Personale Galleria Puccini Ancona 14-25 Aprile 1962

Paolo Marasca

1996
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L’arte di Raul Batocco consiste, semplicemente, nello specchiare l’anima delle cose che segretamente rappresenta. Esattamente come individuo che si ponga di fronte ad uno specchio e vi trovi riflessa la propria essenza, spoglia dell’esteriorità che via via vi si è sovrapposta. Il pittore, la cui unica colpa è quella di non essersi mai assoggettato alle regole del mercato, raggiunge il proprio scopo rivelatore attraverso una conoscenza al giorno d’oggi rarissima della tecnica pittorica, ed uno studio della storia intera dell’arte: studio dal quale non nascono le citazioni (plagi?) colte cui siamo abituati, ma forme del tutto nuove eppure memori di quanti già, in maniere del tutto differenti, svelarono il motore dell’esistenza umana. Così, Batocco non è un astrattista né tanto meno un nuovo futurista.

Dei movimenti a lui precedenti ricerca la radice: dell’astrattismo coglie la capacità di risalire ad un alfabeto di forme e colori emotivamente essenziali, del futurismo il tentativo titanico di rappresentare la lotta, l’unione e l’energia che forme e colori sprigionano, tanto da spingere contro i limiti di una cornice.

Ugualmente si potrebbe dire di singoli pittori che tornano alla mente osservando le sue opere, primo fra tutti Francis Bacon.

Batocco parte da dati fenomenici, un paesaggio, una figura, un luogo, un dettaglio.

Non scompone però con piglio cubista, né annulla la forma: la rivolta come un guanto, invece, palesandone l’essenza e la fragilità: di volta in volta sono viscere avvolgenti o aliti di poesia, che appaiono all’osservatore. L’anima, liberata dalla propria fisicità, assume contorni caduchi ed inquietanti.

Il colore nella pittura di Batocco non fissa l’immagine, ma la disperde: l’anima investe l’ambiente – quadro nel quale si trova e dà vita ad una atmosfera lieve, nebbiosa, nella quale l’osservatore stenta a trovare un centro dal quale partire, un filo chiaro da seguire.

Egli stesso è avvolto dal divenire continuo delle forme.

Il movimento è un dato costante nell’opera di Batocco: che sia la lotta ai bordi della cornice o un intenso aggrovigliarsi all’interno di una placenta sfumata, che sia il furoreggiare di linee e tinte potenti o il triste, incontrastabile scorre del tempo che sfuma i contorni delle figure, sempre gli occhi di chi guarda seguono ossessive traiettorie che si intrecciano, scivolano, spiccano un balzo e si distendono, rinnovandosi di continuo: se esistesse uno specchio capace di riflettere l’anima e non la forma di un corpo, certamente non vi si leggerebbe una stasi.

Oggetti, uomini, animali e vegetali: tutti elementi che conoscono l’immobilità solo per la scarsa capacità percettiva dell’uomo. In realtà, energia vitale che combatte, più o meno rassegnata allo scorrere del tempo, all’ineluttabilità della vita.

La pittura di Batocco questo rappresenta: la forma al di là della forma.

Se volesse, questo pittore schivo potrebbe entrare di prepotenza nel novero dei "grandi", spesso definiti tali a seguito di aumentate quotazioni di mercato.

La capacità tecnica che al giorno d’oggi trova difficilmente pari, la conoscenza profondo dell’arte contemporanea e di quella che l’ha preceduta, la furbizia necessaria per essere sufficientemente accattivanti, sono doti che Batocco ha.

Tuttavia, è anche testardo: insiste a pretendere un senso da ogni suo lavoro.

A dare peso ad ogni pennellata. A rifiutare la ruffianeria dei facili - per lui – accostamenti cromatici. Si appassiona alla materia pittorica, come un contadino a quello che coltiva. Entrerà immagino, nell’olimpo dei grandi per inevitabile diritto, allo stesso modo in cui certi cuochi che son sempre stati lontani dalle grandi piazze sono rimasti più a lungo, e vi rimarranno, nelle guide migliori.

Personale 'Cento dipinti 1956 - 1996', Atelier dell'Arco Amoroso, Ancona, 1996

Marino Mercuri

1966
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Se la poesia è l'Arte attraverso la quale l'uomo riesce ad esprimere i propri sentimenti ed a rappresentare cose e fatti con immagini e linguaggi diversi dalla prosa comune, Raul Batocco è pittore - poeta.

Le opere di questo giovane infatti, estremamente raffinate nel gioco costruttivo sospeso fra l'astrazione e la figurazione accademicamente intesa, toccano sovente i vertici della compiuta armonia, mentre le componenti linea-colore si esprimono in termini di perfetto equilibrio fra contenuto e forma.

Ogni quadro è frase compiuta, è una finestra aperta sullo scenario immenso della Natura, intesa, interpretata e riproposta però come parte viva del Creato, una finestra capace di trasportare il fruitore sul panorama che dona un supplemento di realtà colta nell'attimo e successivamente trasportata sulla bianca superficie con un vaglio interpretativo di valore catartico, e con un lirismo che parla di "realtà riproposta" nei suoi aspetti più veri e profondi, presenti e virtuali, scoperti cioè nell'intima essenza, prescindendo comunque dal materiale esteriore ed immediato.

Questa pittura, preziosa nelle sue velature, scandita dal ritmo di una rigorosa grafia, si avvale anche delle liriche implicazioni del colore che si distende sul quadro con modulazioni tonali contenute e zonalmente distribuite, per interpretare l'inno alle cose create, per fissare attimi di luce, per penetrare e trasmettere, in corale sinfonia, i risultati immediati di una contemplazione attiva. Su questo canovaccio programmatico l'artista inserisce timbriche pennellate rosse, azzurre, verdi, gialle, o grigie, capaci dell'acuto, senza tralasciare però di contenere l'acuto stesso entro i canoni più ortodossi dell'armonia pittorica. In tal modo Batocco vive l'esperienza dell'Arte contemporanea esaurendone e riscattandone i fattori negativi o eterogenei. Ignorando però l'appagamento del solo processo selettivo affida all'opera stessa le risultanti positive riproponendole entro le frontiere di una spiccata quanto autonoma personalità. Su questa vicenda paesaggistica, setacciata da una sensibilità compiutamente e assolutamente contemporanea, Batocco fonda la premessa per riproporre le suggestioni di un moderno romanticismo alieno da facili clamori e da languidi spazialismi, un romanticismo evocativo conseguito attraverso una solida e consistente pittura tecnicamente ancorata alla conoscenza acuta dei segreti del mestiere arricchiti da una evidente quanto spiccata componente interpretativa. Fondendo infatti gli stratificati livelli emozionali fra le pieghe della linea e del colore Raul Batocco, pittore poeta, consegna alla sua opera uno squarcio d'infinito, una nuova realtà spirituale, un verso autentico che sa essere insieme espressione di sentimento, emozione, pensiero e creazione, tradotti però nell'unica sostanza identificabile con l'alta poesia pittorica.

Personale alla Galleria d'arte Scipione Macerata, 21 maggio 1966

Marino Mercuri

1967
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Raul Batocco è l'artista che dipinge rincorrendo sulla tela la gamma infinita dei rapporti fra mondo invisibile e realtà interiore in una condizione però di assoluta libertà spirituale e di indipendenza mentale. Egli infatti opera in direzione di una linea stilistica che risale alla qualità di una emozione, da una concezione cioè che partendo dal convincimento di una forma necessaria, risale fino alla realizzazione di una visione poeticamente ed esteticamente valida e significante.

Batocco non appartiene alla schiera di pittori parascientifici o alla pattuglia avanguardistica degli impegnati negli "ismi" ad ogni costo; Batocco è il pittore della realtà poetica, è l'assertore di quell'idioma antiretorico che risponde ad un dettato intimo più intuitivo che intellettuale.

Il suo credo artistico, valido anche sul piano della poesia e del lirismo, si fonda sulla suggestione della ricerca che coglie gli accordi esistenti fra il dato naturalistico e la fantasia creativa. Partendo infatti dalla natura Batocco matura un processo di viva creazione che, abbandonando ogni pedissequa imitazione ed evitando l'inespresso e il gratuito, vola in maniera artisticamente viva simile a metafora poetica.

Circolo Goliardico Corridonia (Macerata) 25 Marzo - 2 Aprile 1967

Michele Petrocelli

2004
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L'ASTRATTO ROVESCIATO

Definire astratta la pittura di Raul Batocco, significherebbe essere riduttivi sull'opera di questo artista che da oltre quarant'anni fa della ricerca materica e fenomenologica lo spirito di tutta la propria produzione. La sintesi concettuale dell'opera di Batocco, a prima vista, ha una sua base ben definita che sicuramente affonda le proprie radici nel significato del "non reale" di arte astratta. A una prima lettura, dunque, le sue immagini sembrerebbero non appartenere alla nostra esperienza visiva. si tratta di contenuti espressi in libere composizioni di linee, forme e colori, senza imitazione concreta della realtà in cui viviamo. Ma forse, prima che i processi di astrazione, nell'opera di Batocco è necessario scorgere altri due elementi fondamentali:le proiezioni cromatiche che direttamente provengono dall'esperienza esistenziale dell'artista, vissuta tra le colline policrome e le sfumature azzurro-mare della sua regione Marche, e la 2ratio mix-materica2 della combinazione dei colori e degli altri elementi che costituiscono la struttura delle opere. E' in un contesto così delineato di percorsi semantici che, attraverso un raffinato processo di astrazione, Batocco realizza i quadri. Ne emerge una realtà scontata solo in alcune sue caratteristiche che, guardate nell'insieme, restituiscono la valorialità dell'esperienza e del percorso culturale di questo artista. Giustamente è stato scritto che Raul Batocco "parte da dati fenomenici:un paesaggio, una figura, un luogo,un dettaglio". Cosicché, dal campo delle immagini e dei segni, intesi come simboli che rimandano a cose o idee, si passa all'assenza dei riferimenti reali secondo un territorio mentale in cui il pittore procede autonomamente alla ricerca di forme e immagini del tutto inedite. E' come se la pittura di Batocco ci proponesse un modello alla rovescia: non più dall'invenzione alla creazione, ma dal reale (nel senso di esistente) all'invenzione svincolata da norme e convenzioni che si realizza nell'unico clima possibile: l'astratto.

Catalogo Cavallaro- Novembre 2004

Stefano Trojani

1966
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Un discorso sulla pittura di Raul Batocco ci conduce fuori da ogni richiamo intellettualistico, a cui invece si rifanno tanti artisti contemporanei, che bruciano nel fuoco degli innumerevoli "ismi" la loro vocazione artistica. Batocco lavora per rivedere in un purissimo linguaggio di misura e di sapienti scansioni cromatiche, quanto la natura offre al suo sguardo meditativo e alla sua avidità di colori. Non possiamo però definire questa pittura "evocativa", nel senso che la sua arte riproponga l'oggetto nel suo pesante e vitale collocarsi tra le molteplicità delle cose, nei ripiani spaziali, o anche nel puro atto del distinguersi, qualitativamente, posto come fenomeno di ideale bellezza.

La pittura di Batocco è calda e mobilissima capacità di interpretazione della natura, dispiegante sensazioni quasi musicali nella composta e pacata strutturazione delle linee e dei volumi, nella rievocazione quasi onirica di vibrazioni spirituali, in cui l'apporto fantastico diventa compiuta fusione di creazione e di suggestione naturale. Qui non ci sono preziosismi né moduli standardizzati, ma solida padronanza di esperienze stilistiche, anche delle più rischiose. Nel procedimento creativo del nostro artista avanzano, di pari passo, l'abilità tecnica e un preciso messaggio morale, che supera il vanificarsi del provvisorio, fissandosi nella trascendente condizione della bellezza. La sua vena poetica sollecita di continuo immagini nuove, riportate da mondi crepuscolari del subcosciente alle rive solari del ricordo, dove l'ispirazione opera riconversioni precise e vive, e soluzioni cromatiche armoniosissime.

L'attributo di questa pittura è umana esaltazione della gioia, frutto patito, prima del suo costruirsi sulle strutture della materia come luce, misura, vita, e di poi nell'appropriarsene dello spirito umano. Se la pittura di Batocco è suggerita quasi sempre dal vero, ed in questo sprigiona il suo alto ed ampio messaggio etico, la meditazione commossa la conduce in canora esultanza di ritmi cromatici, La tavolozza di Batocco è vicina agli oggetti, alle cose che sono quotidiano spazio della sua esperienza; lì trova dimora la sua ispirazione, che si risolleva dalle case che si specchiano nelle acque, dalle verdi campagne marchigiane, che si muovono in ondulazioni di pianure e di colline, di strade luccicanti, di filari, e di fiumicelli che le ripartiscono e colorano come un immenso medaglione musivo, ricca di visioni e melodie cromatiche.

Dunque la pittura di Batocco respira l'umana poesia delle cose pulite; si filtra di una emozione pastosa e spiegata in un linguaggio chiaro e fertile. Se qualche volta è potuto sembrare fare puntello su una bellezza ricercata e preziosa, seppur sapientemente, degli effimeri risultati di una gamma cromatica sognata e di un tracciato lineare soavissimo, mai è mancata però a Batocco, una accorata ricerca di misura interiore, che doveva riflettersi sulla tela come lindura, armonia, sicurezza del segno, recupero adeguato della fisica bellezza degli oggetti, alle personali capacità emotive e creative. In questo senso il suo cammino è ben lontano dalle tormentose vie dell'inquietudine che agita tanta arte moderna, appoggiata più su una verità filosofica che su quella poetica. Ecco perché l'interesse sospettoso suscitato provvisoriamente da questa pseudo-arte si estenua nell'artificio del linguaggio e si vanifica nel riesame critico, sul superamento del fluire delle situazioni esistenziali e la staticità dell'espressione fissata.

In Batocco il processo creativo si scandisce sapientemente dietro la spinta di una dialettica dinamica da rintracciarsi di continuo nella comunione dello spirito umano e la realtà. Questa dinamica impegnerà l'artista in una ricerca sempre più faticosa di nuove tematiche e nuove esperienze di espressione, ma la grande sintesi che ha raggiunto è la sicura garanzia per un buon viaggio.

Personale Galleria Puccini Ancona 1966

Valeriano Trubbiani

1985
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PENSIERINI SULLA PITTURA DI RAUL BATOCCO

Un provvidenziale invito fattomi da Batocco, di scrivere un pezzullo, una testimonianza(che nella sua eresia lui troverebbe il gradimento) sul suo lavoro di pittore, gratifica e appaga uno dei miei rari divertimenti: quello cioè di dire quanto penso con l'aggravante di metterlo per iscritto e di sottoscriverne la paternità. Allora, nel sopraindicato ruolo di non ortodossia e auspicando come platea l'ortodossia stessa (gli"addetti ai lavori" come eufemisticamente si dice) qualche pensierino lo voglio proprio scrivere.
Assai recentemente, Federico Zeri presentando la grande mostra antologica a Palazzo dei Diamanti a Ferrara (con un testo straordinariamente lucido, incisivo e corrosivo) l'opera pittorica di Fabrizio Clerici(1) lamenta e denuncia l'insostenibile ostracismo che le pubbliche istituzioni in genere propinano sempre a questo grande artista visionario, maestro nel processo di spiazzamento e del surrealismo intellettuale.
Successivamente, a commento della mostra, Antonello Tombadori (") sottolinea ancora, caricandone i significati, che a questo pittore qualcheduno lo vuole proprio tenere nascosto.
Nei trastulli salottieri dell'italietta artistica si parla e decide anche di questo (neo-caligolini nell'arena: pollice alto o pollice verso!). E fatte le debite proporzioni generazionali e di quantità di lavoro; anche nella nostra Marchetta mi pare che a Raul Batocco qualcheduno lo vuol proprio tenere nascosto se è vero, come è vero, che sistematicamente e reiteratamente viene escluso da tutto quel fervore realizzativo che, pari ad un "delirium tremens", si esprime in una raffica allucinante di mostre, mostricine, mostracce e mostre di mostri. Si insomma, una sorta di "marcialonga" tra il fosso del Tronto e la discarica di Monte Cucco, protagonista un immaginario "Circolo Pickwick". Mi sentirei allora di tranquillizzare Batocco, poiché, non solo è salutare non partecipare alle "marcielonghe" ma è titolo di merito starne quanto più lontano possibile. Ma comunque sia, così a titolo di curiosità si possono azzardare ipotesi sui motivi della rimozione: Batocco, come tanti altri pittori (uno per tutti Guttuso) ha un suo impegno politico (fatti suoi) che si può anche non condividere e che provvidenzialmente non attacca il lavoro creativo. Non si potrebbe immaginare un ostracismo in tal senso che significherebbe soltanto intolleranza e un poco stupidina.
Ma Batocco risolve anche un impegno didattico assai intenso e credibile presso l'Accademia di Belle Arti di Macerata dove è stimato e può vantare una vasta platea di studenti che segue il corso di pittura: con passione.
Eppoi ancora è personaggio generoso, mite e civile. E queste, forse, sono presunte colpe che prima o poi si scontano: di questi tempi. Esistono altri due "capi d'accusa" che implacabilmente fanno precipitare la bilancia: Batocco è riservato e defilato (nel senso cioè che non è un postulante) eppoi, il che non guasta, è un vero pittore (nel mare dei finti pittori) e un vero artista (nel contingente perverso in cui, questo, viene inventato artificialmente). allora, a questo punto chi ha voluto intendere ha inteso e capito bene i motivi della sua semi-clandestinità.
E questo, secondo me, per quanto riguarda la persona.

Della sua pittura, che conosco da oltre vent'anni (dalla romana Garbatella dove mi lasciai rapinare una tecnicaccia puzzolente alla varechina in cambio di un vecchio "montgomery") posso dare una lettura atipica e istintuale poiché altro è il mio mestiere, più tenaci sono i miei materiali, diverse sono le allucinazioni.
Intorno alla fine degli anni 50 i materiali della astrazione informale incupendosi si lacerano espellendo dal magna soggettivo le prime iconicità riconoscibili e identificabili. Sono i primi sintomi di una virata di bordo, il lento ed ineluttabile travaglio dal soggettivo introverso all'oggettivo decantato. E la pittura si divarica in diverse traiettorie, ponendosi in crisi e sostituendosi con spuri materiali d'accatto: anomali.
Ovvero, la pittura, affina e ricompone se stessa esprimendo una rimembranza pre umana e infante che, dopo anni di crescita, esploderà fragorosamente sull'onda del consumismo, dei mass-media e dell'impatto reclamistico in una figurazione totalizzante o ancora (estremo rigurgito del non riconoscibile) nel catechismo asettico della psicologia della forma e dello scientismo percettivo. La pittura di Batocco nasce da una ramificazione dell'informale, quello mi pare appunto, che sbarazzati gli ispessimenti materici della pittura di gesto, si sfronda ora e si cancella e si dilava sino a rimanere impalpabile pigmento col quale sognare memorie ed emozioni di percezione lirica le cui ali spuntano "aldilà del surreale". E in tal senso suggerirei di leggere la nitida presentazione che Francesco Ghedini scrisse per Batocco in occasione di una delle rarissime uscite.(3)
I dipinti di Batocco sono quasi tutti di piccola dimensione, che è poi la normale conseguenza della notevole qualità della pittura, voglio dire, fine, miniaturizzata, impalpabile, impercettibile e rasata come una seta d'oriente. Ed è proprio tale piccola dimensione a caratterizzare e rendere più intrigante la lettura del dipinto che invece risulta quasi sempre un ganglio larvale: cristallino, serrato e intrecciato.

Recentemente la "presa" ha subìto quasi una perdita di energia e il pugno serrato tende ad aprirsi quasi a liberarne il non meglio identificato contenuto. E tale operazione in atto è benaugurante poiché lascia presagire ulteriori e più graffianti sviluppi; cosi ché mi piace leggere: sullo schermo del dipinto saggiamente ripartito come il progetto di un agrimensore, entrano presenze lente come tartarughe o veloci come saette o falci fienarie. Le presenze sono metaforiche e la loro iconocità non totale ma accennata e inquieta come un lemuro dell'inconscio. La presenza inquietante (il pugno che si sta schiudendo) è posta ad angolo, dirottata in un lato, precipitata dall'alto o collocata al centro del campo scenico. Certo, una scena di un racconto, un accadimento di una storia appena fissata, come in una sinopia d'affresco, pochi istanti prima che l'intervento restituisca nitidamente l'identità dell'oggetto.
Se la pittura è portata al totale estremo sfinimento, così l'immagine rappresentata è ancora fantasma di se stessa.
Un ectoplasma galleggiante in attesa di dichiarare apertamente la propria identità.
Ma tanto basta per registrare alcuni presunti protagonisti della rappresentazione (che sarà anche: sacra, naturalistica, zoomorfa e geografica): una farfalla che tenta il volo; un cardellino in equilibrio instabile; una interrotta fienagione lunare; l'officina di un fabbro; cirro-cumuli su deserto infuocato; angeli che rotolano tra le nuvole; bambini che mangiano un cavallo morto; l'ova di una matura maternità. E poi ancora: proiezioni dall'alto e svoli e levitazioni e segmenti tesi sparati dal cielo come laser. E vescovi mummificati sbendati da una furia iconoclasta. Cosa sono quelle levitazioni fluttuanti nel cielo? Forse i cavalieri dell'apocalisse o i rapimenti di S.Teresa di Gesù? (..."oh Dio che vedo? quanti angeli vanno e vengono dal cielo!Non li vedete? guardateci, guardateci bene"...E spiccò un volo dalla loggia fino ai piedi di un mandorlo distante 18 metri (circa). (5) In tale iconografia pre-rappresentativo/devozionale, secondo me, porrei il segnale dei risultati più intensi e della più raggiunta maturità di Batocco. Anche perchè (e ne è sintomo) sollecita relazioni e contaminazioni e connivenze tra storia e visionarietà, che è come dire:un serpente che si mangia la coda e che subito risputa. E quelle rosse saette divine da quali mondi provegono e se sono laser quali "rovine gotiche con violatori di tombe nella tempesta" (6) vorranno colpire? O non saranno mica fili di fuoco sparati da un crocefisso saettante come un "tupolev" e che producono stigmate nei santi genuflessi? (7)
Ecco, un domani sarebbe curioso poter confermare le ipotesi o comunque formulare certezze iconografiche.
Per adesso, Batocco pensa a quel momento della giornata in cui si spegne lentamente la luce poiché il sole è tramontato, ma è ancora presto per accendere le candele. Intanto quello tenera farfalla di velluto si agita come un elicottero in attesa del volo e batte le ali contro il vetro della finestra.
(E allora , apri quella finestra, no? cosa aspetti?)

(1)F. Zeri: F. Clerici, cat. Ediz. Grafis, Bologna, ottobre 1983
(2)A. Tombadori: F. Clerici, "l'Europeo" Roma, novembre 1983
(3)F. Ghedini: R. Batocco, cat. mostra personale alla Galleria Il Falconiere, Ancona. 18-12-82
(4)AA.VV. "San Giuseppe da Copertino tra storia e attualità" Ed. Messagero Padova, 1984- pag. 107
(5)idem pag. 116
(6)Dipinto di P. Paltronieri detto il Mirandolese, 1673-1741, Museo Civico, Bagnacavallo.
(7)Dipinto di F. di Giogio Martini: "Stimmate di S. Francesco e S. Bernardino" Pinacoteca Malaspina, Pavia.
Personale "dipinti 1958-1985", Filottrano 29 giugno-29 luglio 1985

Verde

1965
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Il problema della rappresentazione del mondo naturale assilla sempre, lo si voglia o no, ogni artista che sia tale. La negazione del mondo oggettivo per giungere ad una rappresentazione in un mondo del tutto interiore esiste come ipotesi. In taluno come speranza, talora come azzardo. Ma sempre l'impulso che l'artista riceve dal mondo sensoriale si riverserà nelle opere che esprime. Lo trasformerà: è un altro discorso. Come accade a Kandiskj col suono-colore.

Come è di chi dentro i rigori di una fredda geometria intende scoprire le leggi che regolano il tutto. Come chi affida al gesto fatto naturale, quanto il mondo esterno gli trasferisce. Importante è dunque rappresentare, prima di tutto. Ed al tempo stesso, risolve la rappresentazione in termini di poesia. La chiave così difficile che ogni pittore, ogni poeta, ogni artista vorrebbe possedere; questa chiave che si trova al di fuori della letteratura, con la piccola o grande voce che si ha, avvicinandosi con umiltà alle cose della natura, cercando di interpretarle, di farle proprie, di trasformarle. Abbandonandosi a quel filo di canto che ogni uomo sente pulsare in sé.

Su questo piano potremmo capire tanto la tensione emotiva di Birolli, quanto il tremore religioso di Menessier, il furore di Pollock, il segno pacato e circoscritto di Kline, la dolce paradisiaca temperie di Afro. Il nuovo gruppo di pitture di Raul Batocco conferma la coerenza dell'atteggiamento poetico del giovane pittore marchigiano: sono ancora immagini liriche di paesaggi marini, espressioni nuove di una romantica corrispondenza tra visione e stato d'animo. E sempre più la forma e la struttura naturalistiche degli ambienti, dei personaggi e delle cose hanno interessato Batocco, quasi un traguardo da raggiungere evitando il cadere nella raffigurazione passivamente oggettiva, nella definizione tradizionale.

Bisognava per lui giungere a una tale intensità allusiva, a una tale carica di realtà vitale nel colore-luce, nella composizione dinamica delle forme, nella scioltezza del segno, da far coincidere il dato realistico con la metafora poetica, senza soluzioni formalistiche, senza appoggi descrittivi o letterari. Ha saggiato le problematiche invenzioni linguistiche della cultura figurativa attuale, rapportandole però al suo problema, al suo fine. L'esigenza istintiva di un controllo razionale, di una presa di coscienza umanistica, regola e traduce in forme misurabili nello spazio vero il suo altrettanto istintivo abbandono sentimentale, la sua foga visionaria. Lontano dalle inquietanti ossessioni psicologiche di tanta poesia contemporanea, nei suoi quadri egli ci dimostra la possibilità di rispondenza, ancora, tra uomo e ambiente.

Però il fatto che questo ambiente non sia socialmente determinato ma sia quello impersonale ed eterno della natura conferma ancora la partecipazione di Batocco al sentimento romantico di evasioni. Batocco cerca nella natura l'immagine relativa al proprio tempo ed alla propria situazione storica. E da anni il giovane pittore ci propone questa sua pittura tesa e fluida, vivida di luminosità interiore che trascorre di tono in tono nelle campiture poste giustamente a creare lo spazio reale, e la sua protezione nel sentimento e nell'immaginazione, la sua durata poetica. Infatti in queste sue opere recenti l'artista è giunto ad un miracoloso equilibrio tra veduta e evocazione, tra la semplice e nitida rappresentazione dell'occasione-elemento di natura e la risonanza sentimentale e fantastica da quello suscitata. Ricordiamo le emozioni provate circa due anni fa di fronte alla serie di "fondali marini" di Batocco raccolti in una personale alla Galleria Puccini.

C'era una tenerezza di verdi grigi che slontanavano verso l'azzurro mentre una sfumatura di piovaschi ottenebrava il cielo. Una identica emozione abbiamo riprovato osservando questo suo nuovo "mondo azzurro" di una luminosità impensata. In fondo la difficoltà di noi uomini consiste nella coscienza che abbiamo di non intenderci; di intuire che parliamo lingue diverse, non più da generazione a generazione ma di dieci in dieci anni. Tanto ci travolge la furia instabile del mondo in cui viviamo. Per cui con una specie di rimorso sostiamo talvolta di fronte a sponde che ci sembravano perdute o inibite. E davanti ai trepidi barlumi di cieli di Batocco che si posano sulla massa trasparente delle acque abbiamo ripescato perduti paradisi.

Personale Galleria Puccini Ancona 1965